Da luglio a novembre 2019 Medici Senza Frontiere (MSF), nell’ambito del progetto “Rural Settlements”, ha svolto attività di supporto medico e sociale di prossimità negli insediamenti informali nelle aree rurali della Basilicata.
L’intervento si è svolto nel quadro di due protocolli d’intesa firmati con le Aziende Sanitarie di Matera e di Potenza. Da anni MSF si occupa di monitorare gli insediamenti informali in tutta Italia ed ha avviato diversi progetti per portare assistenza medica e orientamento socio-sanitario in simili contesti urbani e rurali. MSF ha deciso di intervenire in Basilicata per l’elevata presenza di persone che abitano in situazioni di estrema precarietà, in condizioni igienico-sanitarie deplorevoli e senza alcun accesso ai servizi di base.
La maggioranza delle persone che MSF ha incontrato negli insediamenti informali nelle campagne della Basilicata è di origine straniera, impiegata in agricoltura come braccianti. Alla presenza dei lavoratori cosiddetti “stagionali” che si spostano sul territorio a seconda delle stagioni produttive, va aggiunta quella dei braccianti migranti che risiedono stabilmente in Basilicata, nonché di coloro che, in seguito ai recenti cambiamenti normativi in materia di immigrazione ed asilo, hanno perso il diritto all’accoglienza, oppure sono stati sgomberati da altri insediamenti informali nelle aree rurali o urbane in altre regioni italiane. L’intervento MSF è stato avviato al fine di migliorare le condizioni di salute e l’accesso ai servizi sanitari di queste persone.
Il contesto di osservazione è stato l’insediamento informale, fulcro di emarginazione, precarietà e sfruttamento. Nei “ghetti”, come li definiscono i loro stessi abitanti, le difficoltà dovute alle devastanti condizioni igienico-sanitarie e alle dure condizioni di lavoro si sommano ad una forma di esclusione sociale più generale, che comprende l’uso discriminante della forza lavoro ed il mancato riconoscimento nella prassi di alcuni diritti fondamentali, tra cui l’accesso ai servizi sanitari.
Sul totale delle oltre 900 visite mediche effettuate, è emerso che: 1 paziente su 3 presentava infiammazioni muscoloscheletriche dovute alle dure condizioni di lavoro nei campi; 1 paziente su 4 presentava problemi medici riconducibili alle condizioni di vita insalubri negli insediamenti informali; più di 1 paziente su 2 riscontrava problemi di accesso al sistema sanitario.
Che si trattasse di baraccopoli, vecchi casolari o edifici dismessi, gli insediamenti informali monitorati da MSF si sono duramente mostrati oltre che siti insalubri ed isolati, anche luoghi di “rifugio”, ossia ripari creati in un contesto ostile. L’organizzazione di questi siti varia a seconda della situazione. Questi, infatti, possono essere ufficiosamente riconosciuti; perdurare nell’invisibilità, come i casolari isolati nelle campagne lucane e limitrofe; scomparire una volta terminata la stagione, come nel caso dell’insediamento potentino di Mulini Matinelle (Comune di Venosa); oppure trasformarsi in insediamenti più stabili, come nel caso dell’ex-Felandina a Metaponto.
Questo rapporto illustra le condizioni di vita e di salute e le difficoltà di accesso al sistema sanitario delle persone che abitano negli insediamenti informali. Vite a giornata, costrette di sgombero in sgombero, di ingaggio in ingaggio a spostarsi in cerca di un riparo, di uno spazio che restituisca loro dignità ed identità.
Il team di MSF è intervenuto in un totale di 7 insediamenti, 3 nella provincia di Matera e 4 nella provincia di Potenza dove è stata stimata una presenza complessiva di almeno 2000 persone. Le tipologie di insediamenti informali nell’area di intervento sono state diverse: una baraccopoli a cielo aperto, un’area industriale dismessa, vecchi casolari di campagna costruiti durante la riforma agraria degli anni cinquanta ed in condizioni di totale fatiscenza. Tutti questi luoghi sono accomunati dall’assenza di acqua potabile, di elettricità, di un sistema di raccolta e smaltimento dei rifiuti, con conseguenti condizioni igienico sanitarie che mettono rischio la salute delle persone. Si tratta di strutture pericolanti o comunque non adeguate all’uso abitativo in totale isolamento rispetto ai servizi ed ai centri abitati.
In tutti gli insediamenti in cui il team di MSF è intervenuto, è stata riscontrata la presenza di taniche che precedentemente contenevano prodotti fitosanitari come ad esempio diserbanti a base di glifosato. Queste taniche erano utilizzate per contenere e trasportare l’acqua che veniva recuperata dai punti di approvvigionamento, quando invece sarebbero dovute essere adeguatamente smaltite ai fini di ridurre i rischi sulla salute pubblica e sull’ambiente, come previsto dalla legge.
La mancanza di elettricità rappresenta un ostacolo alla corretta conservazione di farmaci, come l’insulina, oltre che all’accurata preparazione e conservazione dei cibi con conseguenti rischi di diffusione di problemi gastrointestinali dovuti al cattivo stato di conservazione degli alimenti. Inoltre, espone le persone a rischi di incendio ed esplosioni dovuti all’utilizzo di fuochi a legna o cucine da campo alimentate a gas.
La provincia di Matera
Il sito informale in cui il team di MSF è intervenuto con la clinica mobile nella provincia di Matera è il complesso industriale dismesso dell’ex-Felandina nei pressi di Metaponto. Da un primo monitoraggio effettuato in loco a gennaio 2019, il team di MSF aveva riscontrato già la presenza di 200 persone, in maggioranza rifugiati politici sudanesi, che avevano dichiarato di essersi recati lì dopo che erano stati sgomberati a Roma.
“Per quasi 5 anni sono stato a Roma a via Scorticabove dove c’erano altri rifugiati politici sudanesi come me. Lì mi trovavo bene ed avevo un lavoro. Poi nel 2017 hanno sgomberato la mia casa e sono venuto qui all’ex-Felandina”. M., Sudan, 39 anni
Questo insediamento, il più grande in cui MSF è intervenuta, è arrivato ad ospitare circa 800 persone nel mese di luglio. Le condizioni igienico sanitarie dell’insediamento erano inaccettabili. I cumuli di rifiuti, le alte temperature e la presenza di erba tutt’intorno all’edificio hanno contribuito al proliferare di roditori e parassiti.
Nell’ex-Felandina, l’isolamento costringeva le persone che vi vivevano a spostarsi a piedi o in bicicletta per raggiungere i punti d’acqua ed i servizi nel centro abitato più vicino, che si trovava ad una distanza di 3 chilometri da percorrere su una strada a scorrimento veloce. Erano dunque esposte giornalmente al rischio di essere coinvolte in incidenti, con esiti anche tragici come è avvenuto nel marzo del 2019, quando una persona che si recava all’insediamento camminando sul ciglio della strada è stata investita ed ha perso l’uso di un braccio e di una gamba.
“In tutta la mia vita non ho mai visto un posto peggiore di questo [si riferisce all’insediamento dell’ex-Felandina]. Qui mi sento morto. La persona che ero una volta non esiste più. Dicono che siamo in Europa, ma mi sembra che qui si viva peggio di molti posti in Africa. Questa è la periferia invisibile dell’Europa”. A., Niger, 30 anni
“Qui è tutto difficile. Ogni semplice azione della vita quotidiana come bere, lavarsi o andare in bagno qui diventa complicato. Ma non ho altra scelta. Se ci manderanno via da qui non so cosa farò. Non so dove andrò”. K., Guinea Konakry, 21 anni
“In questo posto molte persone non stanno bene. Vedo che si lasciando andare, che si trascurano, che non badano a loro stesse”. A., Nigeria, 39 anni
Infine, a seguito del tragico incendio avvenuto in data 7 agosto in cui una giovane donna ha perso la vita, è stata attivata una procedura di allontanamento delle persone che si è conclusa con lo sgombero dell’insediamento avvenuto in data 28 agosto.
Durante la situazione di crisi successiva all’incendio, il team MSF è intervenuto per dare supporto ed orientamento alle persone con un’azione che si è protratta fin dopo lo sgombero; intervento necessario anche alla luce del fatto che molte persone sono state lasciate senza una soluzione abitativa alternativa, come MSF ha denunciato pubblicamente. In quell’occasione il coordinatore medico di MSF aveva dichiarato: “Il numero di alloggi predisposti in centri di accoglienza e dormitori non è sufficiente. Centinaia di uomini e donne non hanno alcuna idea di dove trascorreranno la notte. Pur riconoscendo l’insalubrità del sito sgomberato, in cui questo mese ha perso la vita una giovane donna in un drammatico incendio, gli sgomberi senza soluzioni abitative alternative non possono essere considerati misure sostenibili perché aggravano le vulnerabilità di queste persone ed i rischi per la loro salute”.
Oltre a questo grande insediamento identificato, nell’area del Metapontino alcuni pazienti MSF hanno dichiarato di vivere in vecchi casolari fatiscenti e/o spazi non propriamente adibiti all’uso abitativo come ad esempio box auto e magazzini in condizioni precarie e spesso di sovraffollamento. Molte delle persone che sono state sgomberate dall’ex-Felandina si sono quindi riversate in questi spazi abitati nel borgo di Metaponto, senza tuttavia la possibilità di eleggervi la residenza, con conseguenze negative sull’accesso ai servizi, tra cui quelli sanitari.
“Per un anno ho vissuto all’ex-Felandina, la situazione non era buona, ma la chiamavamo “la nostra casa” perché era il posto in cui ci riparavamo dalla pioggia e dal sole e stavamo insieme. Poi quest’anno hanno sgomberato anche lì e ora sto qui a Metaponto e sto cercando un posto. Trovare una casa in affitto qui è difficile, quando sentono che sei straniero ti dicono che la casa è già stata affittata. Ho fatto richiesta di cittadinanza e spero di averla presto. Ogni posto dove vado lo sgomberano, spero che non mi caccino pure da qua”. M., Sudan, 39 anni
Dati sulla Popolazione
Dati demografici
Nell’area interessata dall’intervento, MSF ha stimato una presenza complessiva di almeno 2000 persone che vivono in condizioni di precarietà igienico-sanitaria. Si tratta tuttavia di una sottostima poiché oltre alle baraccopoli e agli edifici dismessi, facilmente identificabili, resta elevata la presenza di persone disperse sul territorio che occupano i tanti casolari abbandonati. Inoltre se nella provincia di Potenza il picco delle presenze si verifica nel mese di settembre, nel Metapontino abbiamo invece riscontrato una presenza costante di oltre 600 persone che ha raggiunto un’acme di oltre 800 nei mesi di luglio e agosto. A questo incremento di presenze hanno contribuito gli sgomberi effettuati sia nelle grandi città (come ad esempio Roma), che in altri insediamenti rurali come Rosarno e San Ferdinando in Calabria.
Su un totale di 798 pazienti, la quasi totalità (97%) è di sesso maschile. Il team medico ha visitato in totale 22 donne. Le cinque maggiori nazionalità dichiarate dai pazienti sono state Burkina Faso (21%), Mali (16%), Sudan (15%), Nigeria (10%), Gambia (9%). L’età media è di 33 anni. Il tempo di permanenza in Italia dei pazienti che si sono rivolti alla clinica mobile di MSF è stato di 5 anni. Lo status legale è stato registrato solo nel caso delle persone che si sono rivolte all’operatrice socio-sanitaria per un totale di 242 persone. Di queste, la maggior parte, (75%), ha dichiarato di essere in possesso di un permesso di soggiorno.
La situazione sanitaria
Su 910 accessi alla clinica mobile, in 785 casi è stata diagnosticata una patologia. Un paziente su tre manifestava dolori e/o infiammazioni muscolo-scheletriche collegabili alle dure condizioni del lavoro svolto nei campi come ad esempio algie muscolari e alle articolazioni, disturbi oftalmologici, malattie respiratorie, lombosciatalgie. Durante le consultazioni con questi pazienti è emersa una scarsa consapevolezza rispetto all’importanza dell’utilizzo di dispositivi di protezione individuale e rispetto alla corretta postura per la movimentazione dei carichi. Infine, le prestazioni a cottimo incidono ancor più sulle condizioni stressanti di lavoro a cui le persone vengono sottoposte.
“Abbiamo avuto il caso di un paziente di 29 anni che si è presentato alla nostra clinica mobile presentando forti dolori ad entrambi i polsi. Durante la consultazione medica è stata evidenziata un’importante impotenza funzionale bilaterale dovuta verosimilmente a calcificazioni ossee, aggravata dalla tipologia di lavoro svolto nei campi che lo costringeva ad usare gli arti superiori per molte ore. L’esame radiologico eseguito in pronto soccorso confermava le sospette calcificazioni. Tuttavia non è stato possibile effettuare ulteriori accertamenti attraverso una visita specialistica con l’ortopedico a causa della tessera sanitaria scaduta e l’impossibilità di recarsi nel luogo in cui risiedeva precedentemente per poterla rinnovare. Tutto ciò nonostante fosse in possesso di un regolare permesso di soggiorno. Un ostacolo di tipo prettamente burocratico ha dunque impedito il pieno accesso alle cure per questa persona. In altri casi abbiamo invece avuto l’impressione che fossero le condizione di estrema precarietà e la necessità di lavorare a rappresentare un ostacolo nel prendersi cura della propria salute. Abbiamo avuto ad esempio il caso di un paziente di 24 anni che si è presentato con un problema dermatologico per il quale abbiamo sospettato una neoplasia in stato avanzato ed abbiamo inviato una richiesta per una visita specialistica presso il dipartimento delle malattie infettive di Matera. Sfortunatamente però il paziente non si è presentato alla visita e si è spostato in un’altra regione per lavorare nei campi. Abbiamo fatto altri tentativi ma non siamo più riusciti a rintracciarlo”. Gianluca Granà, medico MSF
Più di un paziente su quattro presentava diverse problematiche mediche riconducibili alle condizioni di vita insalubri negli insediamenti informali come problematiche gastrointestinali, fra cui diarrea; problemi dermatologici come dermatiti e sporadici casi di scabbia; morsi di parassiti; reazioni allergiche; infezioni respiratorie delle vie aeree superiori e inferiori.
“Abbiamo avuto il caso di un paziente nigeriano di 30 anni che era rimasto coinvolto nell’incendio dell’ex-Felandina e presentava ustioni di secondo grado Il giorno dell’incidente dopo essere stato medicato al pronto soccorso, era tornato a vivere in contesti informali, senza aver ricevuto adeguate informazioni e materiale medico per poter effettuare una corretta automedicazione. Il giorno successivo l’incidente il paziente si è presentato alla nostra clinica mobile ed abbiamo potuto constatare che le ferite secondarie alle ustioni erano in peggioramento e piene di mosche, per via delle condizioni igienico-sanitarie in cui versava. Lo abbiamo inviato nuovamente al pronto soccorso e riferito ad una organizzazione di volontari che ha trovato per lui un posto in cui vivere in condizioni dignitose per garantirgli una piena guarigione”. Gianluca Granà, medico MSF
Sono stati inoltre registrati 51 casi di malattie croniche come diabete, ipertensione, malattie cardiovascolari, patologie respiratorie e nefrologiche (es. insufficienza renale) per la maggior parte identificate per la prima volta durante la consultazione medica con MSF.
Svariati, infine, sono stati i casi di pazienti che si sono ri-volti alla nostra clinica mobile lamentando dolore e ipersensibilità all’apparato dentale, rivelando la difficoltà di accesso a cure odontoiatriche secondarie.
Infine, pur avendo rilevato la necessità di esplorare i bisogni di salute mentale, considerata l’elevata mobilità delle persone, il loro contesto di vita, oltre che la durata limitata del nostro intervento, si è ritenuto non ci fossero le condizioni minime per un’adeguata presa in carico di eventuali pazienti. Tuttavia le persone che necessitavano di supporto psicologico sono state puntualmente orientate verso i servizi territoriali.
Accesso al sistema sanitario
Più di un paziente su due aveva riscontrato problemi di accesso al sistema sanitario, sebbene oltre il 30% abbia dichiarato di essere in Italia da più di 8 anni. Sul totale delle persone assistite, solo il 43% era in possesso di una tessera sanitaria in corso di validità mentre il 27% aveva una tessera sanitaria scaduta, il 28% dichiarava di non aver mai avuto una tessera sanitaria né un codice STP e solo il 2% era in possesso di un codice STP , mentre il 28% dichiarava di non aver mai avuto alcun tipo di accesso (si intende sia l’iscrizione al servizio sanitario che l’assegnazione di un codice STP). Sul totale delle persone assistite dallo staff medico, il 20% è stato riferito all’operatrice sociale per orientamento ai servizi socio-sanitari.
La situazione socio-sanitaria
Le persone che si sono rivolte all’operatrice sociale sono state 242. Per gestire al meglio la loro presa in carico sono state effettuate 417 consultazioni.
Se il 78% delle persone presentava bisogni direttamente collegati all’accesso ai servizi sanitari, il 21% ha chiesto supporto per questioni di tipo prettamente legale (ad esempio, modalità di rinnovo del permesso di soggiorno, ottenimento del titolo di viaggio). In questi ultimi casi, si precisava il limite dell’intervento MSF, circoscritto all’ambito socio-sanitario, e si riferivano i pazienti agli sportelli legali dedicati sul territorio. Nei restanti casi (1%) la situazione si presentava più complessa, con più di un bisogno da prendere in carico allo stesso tempo.
Sul totale dei beneficiari dell’orientamento socio-sanitario, la maggior parte delle persone ha dichiarato di essere in possesso di un permesso di soggiorno (75%). Fra questi, 104 persone hanno specificato il tipo di permesso di soggiorno in loro possesso: il 43% sono richiedenti asilo, il 30% è titolare di protezione internazionale, il 17% è titolare di protezione umanitaria e il restante 10% è titolare di permessi vari (casi speciali, lavoro, lungo soggiornanti).
Piuttosto inatteso è stato il numero di titolari di protezione internazionale, in maggioranza sudanesi ed eritrei che attualmente vivono in insediamenti informali. Le testimonianze e le informazioni raccolte dal team mostrano come i percorsi di queste persone siano stati vari. Alcune persone si erano spostate nelle campagne a seguito di sgomberi nei centri urbani. Inoltre, una persona su tre dei titolari di protezione internazionale ha dichiarato di non aver mai avuto accesso al sistema SPRAR/SIPROIMI.
Sul totale delle persone che hanno beneficiato dell’orientamento socio-sanitario, il 45% ha dichiarato di essere giunto nell’informalità a seguito dell’uscita da una struttura di accoglienza, sia in Basilicata che in altre regioni. Fra i maggiori motivi della fuoriuscita dai centri sono stati menzionati: il fatto di aver esaurito il tempo di permanenza concesso dalla struttura; il fatto di aver ottenuto il permesso di soggiorno; il fatto di aver raggiunto la maggior età; la chiusura del centro di accoglienza che li ospitava; la revoca dell’accoglienza; l’uscita volontaria per motivi personali.
Il diritto alla salute negato
I dati raccolti evidenziano gravi difficoltà di accesso al sistema sanitario da parte delle persone che vivono in insediamenti informali, come era già stato constatato da MSF in altri interventi6. Sul totale dei pazienti, 1 su 2 non aveva alcuna forma di accesso al servizio sanitario; alcuni per mancato rinnovo dell’iscrizione al SSN, altri per non esservi mai stati iscritti e per non essere mai stati in possesso di un codice STP.
Secondo la legge tutti gli stranieri in possesso di un regolare permesso di soggiorno, fra cui i titolari di permesso per richiesta d’asilo devono essere iscritti obbligatoriamente al SSN7. Alle persone straniere non in possesso di titolo di soggiorno, il SSN garantisce l’accesso alle cure attraverso l’erogazione di un codice per Straniero Temporaneamente Presente (STP)8 che può essere rilasciato dall’azienda sanitaria locale ed ha una durata di 6 mesi rinnovabili.
Nonostante l’universalità del diritto alla salute previsto dall’art. 32 della Costituzione, molte sono state in realtà le criticità e gli ostacoli burocratici che i nostri assistiti hanno incontrato nell’accesso al SSN e che di fatto lo hanno reso un diritto negato.
I principali motivi del mancato accesso riscontrati sono:
• Impossibilità di rinnovare la tessera sanitaria. Il 27% dei pazienti visitati era in possesso di una tessera sanitaria scaduta. Nonostante avessero un permesso di soggiorno in corso di validità, non erano in grado di rinnovarla per barriere amministrative legate all’impossibilità di eleggere una residenza9. È importante precisare che spesso la tessera sanitaria risulta essere anche l’unico documento attestante il codice fiscale e, se scaduta, può rappresentare un ostacolo all’accesso anche ad altri servizi. Si è verificato il caso, ad esempio, di un paziente che non è riuscito a ritirare l’assegno di lavoro in banca poiché la sua tessera sanitaria risultava scaduta ed erroneamente non veniva accettata neppure come codice fiscale.
• Impossibilità di assegnazione del medico di famiglia per persone soggette a frequente mobilità. Anche fra le persone in possesso di una tessera sanitaria (43% sul totale dei pazienti), molte riscontravano problemi nell’individuazione ed assegnazione del medico di famiglia. In Italia per le persone temporaneamente soggiornanti in un luogo diverso da quello di residenza per motivi di lavoro, di studio o di salute è prevista la possibilità di assegnazione temporanea del medico di base certificando alla ASL di zona il motivo del soggiorno. Nel caso della ASL di Matera ai fini dell’assegnazione viene richiesto un contratto di lavoro di almeno 3 mesi e una certificazione di domicilio. Si tratta di condizioni che di fatto escludono la maggior parte dei lavoratori stagionali che vivono negli insediamenti informali e che sono pertanto esposti ad elevata mobilità sul territorio e condizioni di precarietà lavorativa. Ciò comporta l’impossibilità d’accesso alle cure, se non rivolgendosi al pronto soccorso, anche nei casi non effettivamente urgenti. Questo è un problema che vale sia per le persone di origine straniera che per i cittadini italiani che si spostano da una regione all’altra. Negli ultimi anni la crescita esponenziale di persone esposte a mobilità sul territorio italiano per ragioni di lavoro o studio ha messo a dura prova il sistema sanitario ed ha contribuito a sovraccaricare i servizi di pronto soccorso che in teoria dovrebbero essere utilizzati per le emergenze.
•Mancato orientamento e supporto all’iscrizione al SSN da parte dei centri di accoglienza. Il 28% dei pazienti ha dichiarato di non essere in possesso di una tessera sanitaria né di un codice STP. Di questi la maggior parte (4 su 5) era in Italia da almeno 3 anni e come risulta dalle informazioni più dettagliate raccolte dall’operatrice sociale, su un totale di 242 persone, il 38% aveva trascorso un periodo all’interno di un centro di accoglienza, senza tuttavia aver mai beneficiato di un orientamento e supporto all’iscrizione al SSN.
La questione abitativa e le dinamiche del lavoro: invisibilizzazione forzata
Un tema che emerge con forza dall’analisi dei dati raccolti durante l’intervento è che la marginalizzazione e l’invisibilità delle persone che abitano nei siti informali non sono dovute alla loro condizione di irregolarità – dato che la maggioranza di loro ha un permesso di soggiorno – bensì alle condizioni lavorative e agli effetti dei recenti cambiamenti normativi in materia di immigrazione ed asilo tra cui il cosiddetto Decreto Sicurezza che ha abolito il permesso di soggiorno per motivi umanitari e i provvedimenti di tipo amministrativo che hanno comportato la chiusura di molti centri di accoglienza per una stretta sui costi. Inoltre, è emersa tra molte delle persone incontrate dal team MSF una difficoltà ad accedere al mercato immobiliare, in quanto impossibilitati ad anticipare importanti garanzie locative e/o per motivi di discriminazione.
“È difficile trovare una casa in affitto, quando chiamo per chiedere informazioni su un annuncio, appena sentono il mio accento straniero mi dicono che la casa non è più disponibile. Inoltre è difficile mettere da parte i soldi per la garanzia locativa perchè non lavoro regolarmente, ma a seconda delle stagioni. Per esempio adesso sono quasi venti giorni che non ho trovato lavoro, l’ultimo lavoro che ho fatto era per 10 giorni”. A., Niger, 30 anni
Come riferito da molti pazienti, sia lavoratori che si spostano stagionalmente che persone che abitano abitualmente in Basilicata, le dinamiche dello sfruttamento lavorativo impongono alle persone condizioni di isolamento abitativo, in quanto la possibilità di essere reclutati è più alta presso quei casolari più prossimi ai campi. Inoltre, la precarietà è accentuata da contratti brevi, saltuari e non sempre regolari.
“Il lavoro non c’è sempre, quando c’è cerco di fare più che posso. Quando raccolgo i pomodori mi pagano 4,50 o 5 euro a cassa [una cassa contiene 300 kili di pomodori]. In un giorno riesco a raccogliere fino a 25 casse. Quando torno a casa [insediamento informale] sono stanco morto ed ho male in tutto il corpo. Mi lavo con una tanica di acqua, mangio e vado a dormire. Il giorno dopo si ricomincia”. A., Ghana, 28 anni
Soluzioni di tipo emergenziale e di breve durata come, ad esempio, la struttura nell’ex tabacchificio a Palazzo San Gervasio, nata per garantire alloggio ai lavoratori agricoli stagionali e contrastare il caporalato, possono essere un valido deterrente alla creazione di campi informali se associate a strategie di contrasto all’intermediazione ai fini dello sfruttamento che preveda il coinvolgimento di tutti i datori di lavoro.
Alcune delle persone assistite da MSF, nonostante fossero a conoscenza della disponibilità dei posti letto nella struttura dell’ex tabacchificio, hanno dichiarato di non voler accedere al servizio per paura di perdere il lavoro, visto che alcuni datori di lavoro non erano disposti a prenderli in quel luogo.
“Il nostro problema è il caporalato, non la ricerca di lavoro. Perché se per esempio trovi un lavoro per 50 euro a giornata, devi darne 15 al caporale che ti ha messo in contatto con il datore di lavoro e che ti garantisce il trasporto verso il luogo di lavoro”. M., Sudan, 39 anni
Inoltre, data l’elevata presenza di stanziali che lavorano tutto l’anno in agricoltura, alle soluzioni per risolvere emergenze stagionali andrebbero associate iniziative che promuovano l’accesso a soluzioni abitative per persone di origine straniera, anche mediante progetti di intermediazione abitativa nel mercato degli affitti.
Raccomandazione
Le criticità rinvenute negli insediamenti informali in Basilicata confermano quelle già riscontrate da MSF in decine di insediamenti in Italia e riportate dai due rapporti Fuoricampo, alle quali si rimanda per le raccomandazioni generali sul superamento delle barriere amministrative. Queste, infatti, costituiscono ostacolo all’accesso al sistema sanitario ed alla definizione di strategie di integrazione che permettano di superare la logica degli sgomberi forzati in assenza di soluzioni abitative alternative.
L’intervento in Basilicata ci ha permesso di rilevare da una parte un mancato adeguamento del sistema sanitario nazionale ai bisogni dei lavoratori soggetti ad alta mobilità quali sono i braccianti agricoli; dall’altra parte, l’accesso ai servizi di medicina generale per coloro che scelgono di stabilirsi nella Regione in condizioni abitati- ve precarie (alloggi fatiscenti, non atti ad uso abitativo o con contratti di locazione transitori), non è garantito per barriere amministrative, quali l’impossibilitá di eleggere la residenza.
Sulla base di queste premesse MSF raccomanda alle autoritá locali di:
Abbattere le difficoltà di accesso al sistema sanitario da parte delle persone di origine straniera attraverso l’attivazione di ambulatori di medicina dedicati nei territori in cui si registra una forte presenza di stranieri, anche a carattere regionale, l’attivazione di servizi di mediazione linguistica-culturale nelle strutture sanitarie e la definizione di programmi di formazione per il personale socio-sanitario sull’approccio interculturale così come indicato nel piano socio-sanitario della Regione Basilicata 2018 – 2020;
Definire strategie di lungo periodo per garantire soluzioni abitative dignitose alle persone di origine straniera presenti sul territorio, distinguendo fra soluzioni stagionali per dare alloggio ai lavoratori che si concentrano in una specifica area in un determinato periodo dell’anno e soluzioni abitative per coloro decidono di stanziarsi nella regione, quali ad esempio progetti di supporto all’accesso del mercato dell’affitto.
MSF chiede inoltre alle autorità competenti a livello statale di:
- Rivedere le norme in materia di immigrazione e asilo che causano esclusione ed emarginazione.
- Promuovere l’accesso al sistema sanitario e la relativa assegnazione del medico di base per le persone esposte a mobilità sul territorio come ad esempio i lavoratori agricoli stagionali.
- Attuare efficienti politiche di contrasto allo sfruttamento lavorativo e alle dinamiche del caporalato basate su azioni coordinate su alloggi, trasporti, intermediazione e controlli.