CIA: “Per fragola del metapontino una filiera del prodotto”

fragole

Anche la nuova edizione della manifestazione che ogni anno la Città di Policoro dedica alla fragola ha confermato che l’organizzazione delle filiere e l’aggregazione di prodotto sono le leve fondamentali per il rilancio della fragola di qualità del Metapontino come dell’intero comparto dell’ortofrutta lucana. A sostenerlo è Antonio Stasi, dirigente della Cia-Confederazione Italiana Agricoltori del Metapontino, riferendo che il quadro della situazione, è stato fornito dal Forum che la Cia ha tenuto a Napoli: calo produttivo tra il 25-30 per cento; concorrenza spietata dal Nord Africa con fragole vendute all’ingrosso sui mercati italiani ad un terzo del prezzo della “Candonga” del Metapontino; mercati invasi di fragole oltre che del Nord Africa anche della Spagna “taroccate” e spacciate per fragole del Metapontino.

Le debolezze sono dunque riconducibili principalmente alla mancanza di un’organizzazione di vendita con un sistema produttivo polverizzato, all’assenza di certificazione volontaria, a costi di produzione elevati (60mila euro di investimento per ettari). Stasi fa i conti in tasca ai produttori del Metapontino: “per un ettaro di fragole bisogna investire anche 65 mila euro, con una forte dipendenza da vivai della Polonia e della Spagna; solo per trasporto ed imballaggio il costo è di 70-80 cent al kg; la manodopera oltre alle tariffe provinciali dei lavoratori agricoli da noi incide per altri 10 euro a lavoratore proveniente da Puglia e Calabria per trasporto. Se, dunque, si producono meno di 400 quintali ad ettaro e non si riescono a vendere ad almeno 2 euro al kg -sottolinea Stasi- ci rimettiamo. Il rischio -per la Cia del Metapontino- è pesante perché la fragola Candonga è un “brand” per il “made in Basilicata”. A confermarlo sono le cifre. Con 60 milioni di piantine vendute (pari a circa 1.000 ettari e una produzione stimata di 20-25.000 tonnellate), la Candonga è la prima varietà utilizzata dai produttori di fragola del Sud Italia e nella piana di Metaponto viene impiegata nell’80 per cento degli impianti su una superficie di 600 ettari, per 60-70 milioni di euro di fatturato.

Oggi la produzione ortofrutticola italiana si estende su 880 mila ettari e coinvolge circa 460 mila imprese agricole. Solo il 30 per cento, però, ha dimensioni superiori a 5 ettari, pur detenendo il 73 per cento della superficie complessiva dedicata a queste produzioni. Una situazione che va necessariamente superata, anche perché la quota di ortofrutta organizzata rappresenta appena il 35 per cento del totale. E questo nonostante l’Ocm preveda aiuti incentrati sulla costituzione e gestione delle organizzazioni dei produttori. Il problema organizzativo, quindi rappresenta uno dei nodi principali da sciogliere. Ci sono questioni strutturali, sociali ed economici che, legate anche a comportamenti anacronistici, non fanno decollare l’aggregazione dell’offerta.

Non solo. Il settore -è stato rilevato nel Forum della Cia a Napoli- soffre da tempo di ricorrenti crisi di mercato. Negli ultimi 4-5 anni l’ortofrutta “made in Italy” è stata investita da pesanti fasi critiche, dovute essenzialmente ad una estrema volatilità dei prezzi all’origine e allo scarso potere contrattuale dei produttori ortofrutticoli, alla forte concorrenza da parte del prodotto estero, spesso movimentato da dinamiche di puro stampo speculativo. A questo si aggiunge il calo dei consumi, provocati dalla difficile congiuntura economica del Paese. E così il quadro generale del settore diventa sempre più complesso e i riflessi per le imprese risultato gravemente negativi, soprattutto sul fronte dei redditi.

Parlando del negoziato in corso a Bruxelles (i cosiddetti “triloghi”) sulla Politica agricola comune, nel forum è stata evidenziata l’esigenza che la discussione sulla riforma consenta uno sviluppo delle Organizzazioni de produttori, rendendo più coeso e valido l’attuale quadro normativo, e migliori la futura Ocm ortofrutta, tenendo conto delle esigenze degli imprenditori.

E’ chiaro, dunque, che per poter recuperare competitività e garantire reddito ai produttori, bisogna puntare all’aggregazione. La costituzione di Organizzazioni di produttori, in grado di aggregare il prodotto, pianificare strategie competitive e sviluppare efficaci relazioni interprofessionali, resta – afferma Stasi – l’aspetto prioritario e il principale impegno politico e professionale della Cia, anche con il supporto del coordinamento Agrinsieme, proprio con l’obiettivo di sostenere gli agricoltori nell’aggregazione dell’offerta, consentire una maggiore competitività sul mercato e favorire tutte le relazioni di filiera.

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