“Creare condizioni per dare dignità ai lavoratori migranti che danno reddito a tutto il territorio metapontino”

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“Senza nome”.

È questo il destino che spesso accomuna le migliaia di lavoratori migranti che affollano i campi italiani, costretti a condizioni di vita inumane, tra sfruttamento, paura e privazioni, vittime del caporalato o della tratta.

Questo il destino anche dei centinaia che, fino all’agosto dello scorso anno, avevano trovato rifugio tra i capannoni abbandonati dell’ex Felandina, trasformatisi presto in un nuovo “ghetto”, uno dei tanti che nascono nelle campagne del Mezzogiorno per offrire un ricovero precario e insano a chi arriva in Italia con la speranza di una vita migliore.

Proprio per ricordare quanto drammaticamente accaduto nella Felandina, con il rogo che distrusse la vita di una giovane nigeriana, Eris Petty Stone,e per affrontare la condizione dell’accoglienza in Basilicata ed in particolare nel Metapontino le sigle sindacali Cgil, Cisl e Uil hanno organizzato a Matera il convegno “Senza Nome – ad un anno dalla morte della giovane migrante”.

Al tavolo dei relatori, tra gli altri, il prefetto di Matera Rinaldo Argentieri, Pietro Simonetti del Tavolo Nazionale Caporalato, la consigliera regionale di Parità Ivana Pipponzi.

“Azioni concrete per combattere il caporalato e ridare dignità a queste persone, private anche del nome” hanno chiesto i rappresentanti sindacali di Cgil, Cisl e Uil.

Tra i relatori anche coloro che operano sul territorio e sono riusciti a offrire sostegno ai lavoratori migranti. Come don Antonio Polidoro, parroco di Scanzano Jonico e responsabile di Casa Betania, la struttura nata a Serramarina grazie all’azione della diocesi di Matera-Irsina.

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