“Tu che mi dovevi amare” è l’ultima fatica letteraria di Maria Antonietta D’Onofrio, alla sua prima presentazione pubblica, tenutasi venerdì scorso a Montalbano Jonico.
L’incontro, che si è svolto presso la Sala Giovanni Paolo II della Parrocchia di San Rocco, grazie al patrocinio dell’Acli, è stato presentato dalla giornalista Cristina Longo.
Sono intervenuti come relatori il giornalista Antonello Lombardi, il professore Antonio Romano, presidente Unilabor ed Ines Nesi, presidente dell’Associazione “Voci di Donna” che hanno offerto ai presenti un approfondimento di tipo comunicativo, pedagogico e politico-legislativo sul femminicidio.
Silvia Barletta, ambasciatrice Unesco per la musica, ha dilettato il pubblico con la lettura di alcune poesie, accompagnata dalle melodie di Augusto Burzo.
La D’Onofrio, già nota nel panorama letterario, perché autrice di altre opere di narrativa, è alla sua prima raccolta di poesie. Nel libro, che è un inno alla libertà femminile, il medico pisticcese mette in versi la difficoltà di essere donna e la pressione sociale e familiare che spesso subiscono, sotto forma di violenza fisica e psichica.
“La scrittrice rifiuta ogni vincolo stilistico, per cantare in assoluta libertà l’esperienza di tutte le donne abusate, manipolate e naufragate in situazioni drammatiche e paradossali, vittime di una violenza estrema da parte dell’uomo solo perché donne.” Si legge nella prefazione a cura di Lombardi. Lo stesso scrive che: “il lavoro della D’Onofrio costituisce un valido contributo al processo di sensibilizzazione, un’indicazione su come affrontare il problema del femminicidio”.
La sensibilità di donna e di medico dell’autrice riaffiora da ogni verso.
Un utilizzo della parola raffinato e delicato ma nello stesso tempo semplice e diretto. Un’ispirazione poetica che scorre libera e fluente che non cade mai nei toni forti e cupi, perché ogni verso mentre racconta della disfatta della vita delle donne vittime di violenza è, per contrasto stridente, pur sempre un invito all’amore. La lettura delle poesie suscita emozioni diverse, passando dalla sofferenza al sollievo del riscatto, dalla disperazione dell’anima privata dei sentimenti alla gioia che l’impeto vincente dell’amore porta.
L’apice del pathos e della riflessione amara Ë racchiusa nella poesia che dà il titolo all’intera opera. Nel suo “Io sono mille donne” è insita l’ universalità del dramma, che può coinvolgere tutte le donne di qualsiasi provenienza geografica, o appartenenza sociale e culturale, ma al tempo stesso la forza di ribellarsi a partire dalla riconoscibilità stessa del problema, di parlarne, di renderlo noto e decidere di affrontarlo di petto, per determinare un cambiamento culturale nel rapporto tra generi.
Un’impresa ardua ma che occorre avere il coraggio di intraprendere anche quando gli stereotipi sessisti ed i retaggi di una cultura maschilista, sono duri da debellare.
“Cantare le donne in poesia, la loro bellezza, i lori occhi, i loro sorrisi, è semplice. Cantare la negazione delle loro vite, è un canto distorto e doloroso”. Così, in una sua nota, la racconta magistralmente l’autrice.
Mariangela Di Sanzo