Si è concluso mercoledì sera con un interessante dibattito dal titolo “Legalità 2.0: Trasparenza, Partecipazione e Accountability” la rassegna “Cinema e parole per la legalità” organizzata dall’Associazione Culturale Radio Aut Policoro con il patrocinio della “Città di Policoro” ed in collaborazione con Actionaid Italia e Rete della Legalità del Mezzogiorno.
L’incontro è stato moderato dal presidente Francesco Lattarulo, che ha lanciato tre proposte all’amministrazione comunale: l’approvazione dell’anagrafe pubblica degli eletti, uno strumento che persegue, senza alcun onere per il bilancio, la massima trasparenza, la valorizzazione, la partecipazione e il controllo, da parte dei cittadini, sull’attività Comunale; l’adozione della “Carta di Pisa”, un codice etico, messo a punto dall’Associazione “Avviso Pubblico” (la rete nazionale degli enti locali per la formazione civile contro le mafie) per gli amministratori pubblici che intendono rafforzare la trasparenza e la legalità nella pubblica amministrazione, in particolare contro la corruzione e l’infiltrazione mafiosa e infine la dedica di una nuova via a Peppino Impastato, giovane siciliano ucciso dalla mafia nel 1978 per aver denunziato le attività di Cosa Nostra dai microfoni della mitica e originale “Radio Aut” di Cinisi, da cui la web-radio policorese ha preso il nome.
L’assessore al Turismo, Sport e Spettacolo Massimiliano Padula, che ha partecipato all’incontro in rappresentanza dell’amministrazione comunale di Policoro si è reso disponibile a recepire e farsi portavoce delle proposte nella prossima riunione di maggioranza. Poi ha dichiarato che “un tema come la legalità riguarda e accomuna quasi esclusivamente la nostra generazione” e ha spiegato che “in questo primo anno di amministrazione si è dovuti partire da zero in tutti gli ambiti della vita amministrativa mettendo le basi, cambiando la predisposizione e l’approccio di gestione della cosa pubblica senza cadere in logiche di illegalità, che hanno portato al fallimento della politica”.
“È importante che siano i giovani ad essere protagonisti di questo tipo di iniziative sulla legalità” ha dichiarato Anna Maria Palermo, la referente regionale di “Libera Basilicata”. “È fondamentale fare un lavoro di trasparenza ed è fondamentale fare queste iniziative e cioè provare a chiedersi che cosa possiamo fare noi cittadini per metterci in gioco e cambiare le cose? L’antimafia sociale – ha continuato la rappresentante di Libera – è anche quella dei cittadini che si mantengono attivi e attenti, pronti ad intervenire per arginare alcuni fenomeni. Antimafia vuol dire anche sapere quello che succede nel nostro territorio e che se ci sono 50 attentati in cinque anni forse dobbiamo porci un problema”.
Christian Quintili referente bolognese di Action Italia, che ha anche curato nel pomeriggio insieme a Nicoletta Riccardi di Bari una bellissima“lezione di Partecipazione”, focalizzata sulla pratica e gli strumenti di accountability e democrazia partecipata a disposizione dei cittadini e delle amministrazioni, che possano garantire una maggiore responsabilità, trasparenza e condivisione nella gestione della cosa pubblica e nella definizione di politiche locali, ha spiegato che “è evidente e le ultime elezioni amministrative l’hanno dimostrato, che in Italia c’è una crisi di democrazia e la risposta da dare quando la democrazia sta male è più democrazia, altrimenti si può cadere di nuovo nell’autoritarismo se non cambiamo rotta”. “Bisogna ripartire quindi – ha concluso Quintili – dalla trasparenza totale delle pubbliche amministrazioni, poi in seguito viene la formazione civica dei cittadini e forse se non sbagliamo niente tra vent’anni avremo una democrazia che starà leggermente meglio”. “Sono uno dei ragazzi del 92′ perché avevo 20 anni e quello per me fu il cambiamento radicale con la dimensione della quotidianità, che veniva stravolta”, ha dichiarato infine Marcello Ravveduto, storico dell’evoluzione delle mafie, collaboratore del Dipartimento di Studi Umanistici presso l’Università di Salerno nonché giornalista, scrittore e Presidente dell’Associazione antiracket Coordinamento Libero Grassi. “Nel tempo ho avuto la fortuna – ha continuato lo scrittore – di dare un contributo al movimento antimafia attraverso la mia professione. Noi siamo un po’ fermi a rimuginare su quegli anni perché non siamo in grado di superare il 900′. Siamo ancora ex di qualcosa, appartenenti a qualcuno o a qualche mentalità, siamo ancora quelli che pensano che non è possibile cambiare. Siamo gli uomini e le donne della retorica e abbiamo trasformato le parole trasparenza, partecipazione e legalità in slogan che non applichiamo. L’Italia è il paese delle mafie e delle stragi, ma questo è anche il paese dell’antimafia e delle vittime del terrorismo. Non possiamo giocare sulla storia civile del nostro paese. Quando noi parliamo di “legalità 2.0” – ha spiegato il professore – parliamo di una nuova legalità perché nella legalità del 900′ c’era il nazismo, cioè Hitler andò al potere con le elezioni. In questo Paese c’è stato un governo che ha fatto una legge, quindi legale, che si chiama scudo fiscale, che non è una cosa legittima. Infatti nell’articolo 54 della costituzione si dice che l’amministratore pubblico deve svolgere il suo mandato con disciplina ed onore. Noi siamo diventati senza volerlo il paese più neoliberista del mondo e abbiamo permesso con il nostro neoliberismo di far radicare le mafie, perché ha determinato la finanziarizzazione dei mercati senza trasparenza. I capitali mafiosi non si bloccano se la legge antiriciclaggio italiana, la migliore del mondo, vale solo in Italia e perché nella dimensione globalizzata non c’è una regola di legalità, di trasparenza e partecipazione. Le mafie si sono radicate al nord già dagli anni 60′ – ha concluso Ravveduto – perché lì hanno trovato una famosa zona grigia, che pensavamo che stava solo al sud, formata da imprenditori disponibili insieme a colletti bianchi. L’amministratore pubblico per quanto sia trasparente non ha nessun potere di cambiare se si ritrova un dirigente, che è quello che firma le carte, amico del boss locale. I politici da soli non possono fare niente e infatti il giudice Scarpinato non parla più di mafia, ma di “sistemi criminali”. Ci sono tantissimi dirigenti della pubblica amministrazione, che gestiscono i rapporti con i clan mafiosi e i politici non sono in grado di rimuoverli e farli fare il programma che loro hanno dichiarato ai cittadini”.