Nei trentotto appuntamenti del cartellone del festival “Il Federiciano”, ideato dal poeta-editore Giuseppe Aletti e sostenuto dal Comune di Rocca Imperiale e dalla Regione Calabria, rientra anche la presentazione del libro “Sul mio corpo che trema” di Stefano Giuseppe Scarcella, di Melissano in provincia di Lecce, che vede coronato il sogno, comune a tutti i poeti, di aver tracciato un percorso solido di affermazione in poesia, grazie alla qualità dei suoi scritti. Scarcella ha partecipato al festival in qualità di vincitore del premio “Il Paese della Poesia” con l’opera “Sul mio corpo che trema”, pubblicata da Aletti e presentata alla presenza dell’attore, autore e regista teatrale Alessandro Quasimodo. Il figlio del poeta premio Nobel Salvatore Quasimodo, Alessandro Quasimodo, ha declamato alcune poesie tratte dal libro e ha inoltre manifestato apertamente la sua stima all’autore, che è stato inoltre il vincitore del premio “Salvatore Quasimodo” nel 2017.
Scarcella ha ricordato quella circostanza, che ha segnato uno spartiacque tra il primo Scarcella che si affacciava al mondo poetico all’età di 15 anni, per cercare un rifugio in un momento difficile della sua vita personale, e quello più consapevole del tragitto poetico da intraprendere.
«Era l’estate del 2017. Incuriosito dalla realtà editoriale della Aletti, ho mandato tre poesie per la terza edizione del concorso “Salvatore Quasimodo”, ma senza aspettarmi nulla. Dicevo a mia moglie: “Figurati se Alessandro Quasimodo sta aspettando le mie poesie!”. Le ho mandate, credetemi, come delle monete buttate in un pozzo a perdere, e a novembre mi è arrivata la comunicazione di essere tra i finalisti, mi sono fatto ospitare a Tivoli per partecipare alla cerimonia e lì mi è stato riconosciuto il primo premio – ha ricordato Scarcella -. Da quel momento in poi, ho iniziato a scrivere in maniera diversa, il premio mi è servito da stimolo e ho seguito tutte le attività della casa editrice, l’anno scorso è stato il mio “primo Federiciano” e sono ritornato quest’anno al festival per un altro premio. Sono veramente felice e grato, ma non tanto per i premi, quanto per la consapevolezza che, grazie a questo festival, ho acquisito. Per tutto ciò che è cambiato dentro di me».
È un poeta maturo Scarcella, che sa trasformare il proprio vissuto in una metafora in cui gli altri possono rintracciare un po’ di sé stessi, che sa allargare il particolare del proprio racconto all’universale dell’esperienza umana, come solo i grandi sono capaci di realizzare, avvalendosi di un linguaggio chiaro e coinvolgente al tempo stesso, con una forza trascinante delle parole.
Il libro prende il nome dalla poesia omonima posta in chiusura del volume, “Sul mio corpo che trema”, declamata da Alessandro Quasimodo; lirica che riassume tutte le sensazioni e vibrazioni contenute all’interno della raccolta.
In copertina c’è l’immagine di una chiocciola. «Mi sono affezionato subito alla proposta del fotografo per la copertina, perché non è una chiocciola come le altre ma ha delle antenne all’interno, in un atteggiamento di chiusura, timidezza – ha spiegato Scarcella -. Quando si prende la chiocciola, questa entra all’interno, poi, quando si poggia, inizia a sputare tutto quello che ha intorno e tira fuori la bava perché cerca di crearsi il sentiero per non ferirsi nel suo cammino. E questa chiocciola mi rappresenta per quello che sono».
Un incontro snello, carico di vibrazioni positive, seguito con attenzione da tutti i presenti, per la maggior parte persone che si dedicano alla scrittura in versi. È stato un momento importante nell’esperienza poetica di Scarcella. «Vai a spiegarlo che le poesie sono state lette da un attore di grande spessore, che ho sempre ammirato, quale è Alessandro Quasimodo. Inoltre, ho amato molto le poesie del padre, Salvatore – ha concluso Scarcella, rispondendo alla giornalista Caterina Aletti che gli ha anche chiesto cosa avrebbe portato con sé dell’esperienza festivaliera -. Del “Federiciano” mi porto quello che mi sono portato a casa l’anno scorso e che mi ha fatto ritornare quest’anno (l’anno scorso mi son fermato tutti e 9 i giorni, quest’anno farò lo stesso). Porterò a casa il bello della condivisione. È come se frequentassi un camposcuola: vengo al festival ad arricchirmi di esperienze per poi tornare a casa e sapere da dove iniziare».