L’albicocca, per la sua trentennale presenza nel territorio rotondellese (in modo specifico nella sottostante Piana della Trisaia) può essere considerato un prodotto tipico locale che nell’ultimo decennio, a differenza di altre drupacee, non ha risentito in modo particolare dei momenti di crisi se non qualche lieve flessione di mercato. In Basilicata, la superfice investita è aumentata del 200% ed i dati ISTAT, non ancora pubblicati, quantificano indicano la produzione lucana, di circa 5000 ettari, al terzo posto a livello nazionale, la Provincia di Matera come prima provincia italiana.
Il trentennio produttivo evidenzia, ad una attenta lettura le trasformazione che nell’areale rotondellese, questa coltura ha messo in atto nella stessa organizzazione delle aziende. Inoltre, cambiamenti importanti hanno interessato gli aspetti varietali, i portinnesti, le forme di allevamento, la gestione delle tecniche di fertilizzazione e di irrigazione, la conduzione biologica e integrata.
In pratica si è passati da una coltivazione dalle caratteristiche marginali ad una coltura praticata con razionalità, adeguandosi e legandosi in modo sempre più forte alle richieste del mercato, mediato in loco –in alcuni casi- da soggetti imprenditoriali presenti nella Piana Metapontina.
Il passaggio da un approccio localistico ad uno più globale, che ha avuto l’obiettivo di commercializzare le produzioni su mercati non solo regionali, ha determinato una serie di adeguamenti in ambito varietale.
“Di conseguenza –spiega l’assessore alle politiche agricole di Rotondella, l’agronomo Vincenzo Montesano- si assiste all’utilizzo di nuove cultivar caratterizzati da elementi come la dolcezza, il sapore la consistenza, il sovraccolore, la resistenza alle manipolazioni, una maturazione lenta (“slow ripening”) per avere una maggiore elasticità nelle fasi di manipolazione e trasporto e l’allungamento dei tempi di commercializzazione e consumo”.
Ciò sta portando ad un ampliamento del periodo di raccolta con una maggiore copertura nelle fasi extraprecoci, precoci e tardive.
“In questo modo -prosegue Montesano- si è passati da una produzione concentrata in circa 20 giorni ad periodo produttivo che parte dalla prima decade di maggio e si conclude nella seconda decade di luglio. Si è cercato di sostituire vecchie varietà molto produttive, ma con frutti di scarsa qualità organolettica, con nuove che fossero i linea con e richieste dei mercato”. Tuttavia, l’introduzione di nuove varietà non sempre ha permesso di centrare gli obiettivi prefissati e molto spesso ci sono stati dei fallimenti con ricadute negative sulla redditività della coltura.
È indispensabile, quindi, il recupero di adeguati livelli qualitativi per evitare future crisi di mercato e un’adeguata valutazione delle nuove cultivar prima di poterne consigliare la coltivazione estesa. Il futuro dell’albicocco si giocherà sulla capacità di raggiungere e mantenere standard qualitativi accettabili, ma anche attraverso un’efficace programmazione delle produzioni e delle tecniche di raccolta e distribuzione, sulla possibilità di segmentazione dell’offerta e l’introduzione di nuove tipologie di prodotto, sulla capacità dì realizzare elevati livelli produttivi attraverso l’aggiornamento della tecnica colturale e l’adeguamento di essa ai mutamenti climatici in atto.
“Senza parlare della necessità –conclude Montesano- di potenziare e meglio orientare decise azioni di marketing che riescano a valorizzare l’albicocca come frutto ideale nel periodo primaverile-estivo per un’alimentazione gradevole e utile sotto il profilo dietetico-nutrizionale”.